A seguito di un acceso dibattito
sull’argomento, tutti i presenti, intervenuti numerosi, dopo aver preso visione
del seguente documento, hanno ritenuto all’unanimità di condividerne e
sottoscriverne il contenuto:
C’è una costante nelle “analisi” della vicenda Ilva di Taranto di
questi giorni: esse prescindono regolarmente dai fatti, ossia dallo
specifico livello di compromissione ambientale e sanitaria che è
accertato dalle perizie chimiche ed epidemiologiche che il GIP Todisco,
seguendo un approccio molto garantista nei confronti dell’azienda, ha
affidato ad esperti di altissimo livello scientifico.
Noi,
invece, pensiamo che ogni discorso sul “caso Taranto” debba cominciare
proprio da questa prospettiva, ossia da questi dati.
L’Ilva di Taranto ha emesso solo nel 2010 oltre 4mila tonnellate di polveri. Un’enormità.
Ha sparso dai suoi camini oltre 1 tonnellata di benzene, più di
300chili di IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici), nonché, come noto,
anche diossine e furani. Tutte sostanze ormai conosciute anche dai
comuni cittadini per i pesanti effetti sanitari che provocano sull’uomo e
sugli animali che a tali inquinanti sono esposti.
Ed è proprio per verificare l’entità di tali effetti che è stata disposta da un giudice un’indagine epidemiologica.
Perché sebbene fosse evidente da anni che a Taranto si registrava una
concentrazione non solo pericolosa, ma direttamente dannosa di
inquinamento ambientale di origine industriale; sebbene vi fossero
evidenze scientifiche che coerentemente individuavano criticità
sanitarie, tuttavia nessun’istituzione aveva intrapreso studi che,
correlando i dati sanitari con i dati ambientali, mettendo gli uni in
relazione con gli altri, soli potevano essere in grado di stabilire
quali e quanti malattie e morti fossero attribuibili all’inquinamento
che origina dall’acciaieria.
Tre periti del GIP Todisco hanno
compiuto quest’operazione, accertando trenta morti in più all'anno
attribuibili all'ILVA; morti per malattie coronariche acute attribuibili
all’inquinamento industriale; ricoveri per patologie respiratorie
associati e attribuibili a quelle polveri emesse dagli stabilimenti dell’acciaieria.
Hanno anche e soprattutto attestato, i periti, un attentato (spesso
andato a buon fine) allo stato di salute dei figli di Taranto, dei
bambini sotto i quattordici anni che si sono ammalati per gli effetti
dell’inquinamento.
Lo ripetiamo: di questo si parla, di questo
si deve parlare, prima di tutto quando si tratta del rapporto tra
stabilimento Ilva e Taranto.
Ma, si deve parlare anche del ruolo dei movimenti ambientalisti tarantini.
È stato, infatti, necessario l'impegno scientifico del prof. Alessandro
Marescotti, che sarà pure, come scrive l'ARPA, con un’incommentabile
caduta di stile, un "insegnante di materie letterarie in un liceo
tarantino" (in questo paese, ormai, quando si vuole screditare una
persona gli si dà dell’ “insegnante di liceo”), ma che nel 2008 ha
fatto, con la sua associazione, Peacelink, quello che nessuna
istituzione preposta alla tutela dell'ambiente e della salute aveva mai
fatto: l'analisi del pecorino prodotto nei pascoli prossimi all'ILVA con
evidenza di concentrazioni di diossina e PCB tre volte superiori ai
limiti di legge. A seguito di questa iniziativa la ASL di Taranto
abbatterà 1300 capi di bestiame allevati a ridosso dell'ILVA.
Nel 2010, sempre e solo i “maledetti” ambientalisti evidenziano troppa
diossina nelle carni di ovini e caprini. Un'ordinanza della Regione
Puglia vieta il consumo di fegato degli ovini e caprini cresciuti in un
raggio di 20 km dall'area industriale di Taranto.
Anche il
Consiglio Regionale deve rincorrere le associazioni: è della fine del
2008 la legge regionale che abbassa a 0.4 ng/Nm3 il valore di diossina,
ma a marzo 2009 è modificata: niente controlli in continuo, ma solo per
tre settimane all'anno e per parte della giornata. Il problema, però,
rimane tutto, in quanto la diossina non esce solo dal camino E312, ma
attraverso emissioni non convogliate, ossia diffuse.
Nel 2011
il Fondo Antidiossina del prof. Fabio Matacchiera (un altro
"insegnante") fa analizzare i mitili, le famose "cozze di Taranto".
Emergono valori estremamente preoccupanti. La ASL di Taranto vieta il
prelievo e la vendita del cozze allevate nel primo seno del Mar Piccolo.
I mitili presentano concentrazioni di diossina e PCB superiori ai limiti di legge.
Qualche giorno prima del sequestro giudiziario, Marescotti divulga i
dati di uno studio di ricercatori dell'ARPA che evidenzia un eccesso di
piombo nelle urine dei tarantini. L’ARPA risponde anzitutto ricordando
l’incongrua qualifica professionale di Marescotti.
Il resto è
cronaca giudiziaria e “politica”. Di quella stessa politica che oggi
straparla di “conciliare salute e lavoro”, “solidarizza” con gli operai,
stigmatizza “l’intempestività” dell’intervento della magistratura. E
così esaurisce il suo pregnante ruolo di direzione dell’economia e della
società. “Di governo.”
Una sola cosa dovrebbe fare “la
politica” in questo momento, a Taranto come ovunque vi siano disastri
ambientali e attentati alla salute pubblica, nonché catastrofi socio –
occupazionali, causati da voracità di profitto dei vari padroni delle
ferriere: far applicare il principio fondamentale vigente in queste
materie in ogni paese civile, a partire da quelli europei (e, peraltro,
formalmente anche in Italia), “chi inquina paga.”
Poi, dovrebbe osservare qualche anno di raccoglimento.
Primi firmatari: