martedì 18 settembre 2012

TU, NOI, LORO


Fine dicembre 1965. Contrada San Leonardo. Sicilia Occidentale.

Stai a letto in uno stato di semicoscienza. La finestrella chiusa, le pareti sono scrostate, il lettone cigola.
Filippo entra ed esce, ha un gran da fare, ti porta da mangiare, lascia le cose lì, non ti guarda, poi invece si ferma e si siede sulla sponda del lettone, poi lo condivide, ti prende.
Tu sei lì. Forse non ci sei per niente, lui capisce che qualcosa non funziona: tu sei felice di essere con lui. Ti opponi con un fil di voce: non mi toccare, vastaso, vastaso.

Quando lui esce, ti alzi, sistemi il letto, tiri per bene le lenzuola, allisci le coperte come se fossero ricami sottili, quello è il letto di nozze, cos’altro potresti fare?
Passano i giorno, nessuno si fa vedere. Niente si sente. Tutto è uguale. La solitudine di giorno, i rumori della campagna e la sera, Filippo. Non ti avranno dimenticata? Non sai di essere diventata un personaggio pubblico di cui tutti i giornali parlano.
“Nessuna traccia è stata trovata di Francesca Viola di 18 anni…a organizzare il ratto Filippo di 25 anni, diffidato dalla polizia.
…egli era stato più volte respinto da Francesca”.

Il tuo corpo è scambio di potere…
Tu, la reclusa.
Il dolore dal tuo corpo non esiste…
Niente ci fu.
Invece noi preferiremmo stare con te. Vorremmo infatti compagnia nella stanzuccia dove il tuo corpo è stato marchiato, dove è stata segnata una traccia che non potrà mai essere più rimossa. Adesso tu fai parte di noi, le donne rapite, stuprate (chiamiamoci tutte Franca Viola perché di te rimarrà il nome, mentre di noi è rimasto solo il silenzio).
Il male, la malattia, lo stupro e il ratto, hanno investito il tuo corpo e tu ti vergogni di essere stata messa a nudo, di essere stata penetrata, di non essere più te stessa, di essere stata degradata, ridotta a preda, ad animale di conquista.
Ti diranno: niente ci fu e tua madre t’insegnerà a dimenticare, a fare finta di niente.
Le nostre madri, anch’esse con i corpi marchiati.
Niente ci fu.
Imparerai ad ingoiare il male, a fare finta che non abbia mai attraversato il tuo corpo e intanto questo, il male, ti corroderà dall’interno. Se poi a tua figlia, Dio non voglia, succederà la stessa cosa, ripeterai come tua madre, niente ci fu.
Niente ci fu.
Per questo adesso ti nascondi nel fondo del lettone, cerchi di sparire sotto le lenzuola….

Tu vorresti solo essere una nuvola leggera che si sfilaccia al vento.
Filippo ti ha voluto “rapire” senza chiedertelo, sicuro che tu saresti stata contenta, perché tu sei sua e lui quello che vuole se lo piglia. Così ha asservito il tuo corpo silenzioso, inerme. D’altronde lui fa quello che la società gli permette di fare, perché non avrebbe dovuto farlo?
…..intanto, oltre la stanzuccia, i giornali si danno da fare per trasformare la tua storia……in un fatto di costume di quei selvaggi di siciliani, …….quella terra arretrata dove ne succedono di tutti i colori.
Chi siamo noi nessuno lo sa e a nessuno interessa.
Eccoti tra i Melodia, la tua nuova famiglia. Potrai mai sentirti a casa tra questa gente?

…abitare è ritrovarsi e conoscersi. Invece adesso il tuo corpo è stato “rapito”, isolato dal mondo, recluso. È un oggetto del contendere, è una cosa. Neanche lo vuoi vedere il tuo corpo, lo copri con un lenzuolo, con le coperte.
Vorresti non avere quel corpo che ti ha fatto soffrire.
Vorresti andare a casa.

Tratto da “NIENTE CI FU” di Beatrice Monroy


Hegel diceva che il sistema del mondo, così com’è, ha un senso intrinseco, una logica dialettica, un graduale procedere verso il Bene.
La tradizione platonico-cristiana ci insegna che ogni nostra azione dovrebbe rispondere ad un Bene superiore.
Aldo Capitini invece parlava di realizzazione de Sé personale, a patto di imparare a dire Tu: la storia ci ha insegnato altro, la vita ci ha insegnato altro.
Dalle generazioni che ci hanno preceduto abbiamo ereditato valori che sopravvivranno fino alla fine dei tempi e, a distanza di centinaia, migliaia di anni, i prodotti dell’ingegno umano sono ancora lì.
Noi, purtroppo, assistiamo a tutt’altro spettacolo e, francamente, io provo una grande amarezza mista a rabbia e disgusto per quanto non siamo riusciti a creare e per quanto siamo costretti a vedere e subire ogni giorno. Non potrà essere diversamente fino a quando vedrò, ogni giorno, che in tanta gente (come in Francesca) la paura regna sovrana. La paura di quanti, per i motivi che tutti conoscono, ma dei quali più nessuno parla, non vedono che il buio quando pensano al domani.
La paura di padri e madri ai quali tremano le vene e i polsi quando i loro bambini chiedono pane, la paura di tutti quelli che provano vergogna quando si specchiano e si mostrano alla luce del sole per colpe che non hanno e maledicono il loro corpo umiliato e tante volte stuprato. Maledicono la loro vita e si nascondono, proprio come Francesca, sotto un lenzuolo, in attesa che arrivi la morte a portar via gli occhi, pesanti come macigni sul cuore, dei mostri che li spaventano, che ci spaventano.
Ma i mostri sono troppo pochi per essere davvero pericolosi.
Ciò che mi spaventa sul serio è la gente pronta ad obbedire alle tendenze, alle logiche, alle mode senza nessuno spirito critico, senza raziocinio alcuno. Logiche, tendenze e mode forse vanno seguite, ma nella misura in cui possiamo trarne giovamento, non divinizzate, radicalmente mutate, se necessario. Logiche, tendenze e mode non devono mai farci distogliere lo sguardo dalla vita reale.
Mi pare, questa, una delle poche vie possibili da seguire se, per davvero, vogliamo tornare a rivedere l’Aurora.

Commento a cura di Gabriele Manelli
                                   

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