quadro realizzato da A. Gianfreda
Ancora si trae olio, al Sud, da ulivi, dicono, messi a dimora dai compagni di Ettore che affrontò Achille, di Enea che fondò Roma, di Paride che sedusse Elena e segnò la rovina di Troia.
Un appassionato
studioso … Leone Salvatore Viola, ha ragionato sulla curiosa conformazione
degli antichi uliveti ..: gli alberi appaiono raggruppati
nel raggio di pochi metri, a tre, a quattro per volta, mentre larghi spazi,
inspiegabilmente vuoti, separano quei piccoli arcipelaghi vegetali l'uno
dall'altro.
Sono piante domestiche,
non selvatiche; ma nessun contadino le sistemerebbe in quel
modo.
E allora? È un
affascinante fenomeno, racconta Viola, a disegnare quella strana geografia
arborea: gli ulivi "camminano" e quegli esemplari tanto bizzarramente
disposti sono il frutto della «frammentazione migrante» di ceppi antichissimi,
forse plurimillenari.
Cosa vuol dire?
«Nessun albero»
dicevano i greci «cresce sino al cielo.» Anche quelli delle specie più longeve,
raggiunta la massima dimensione, muoiono
L'ulivo no:
cresce, si svuota, continua a crescere ma, invece di morire restando uno, si
scinde in più individui (sapevamo già che è saggio, no?), i quali riavviano il
ciclo, entro certi limiti di tempo e di spazio.
E il mio scopo
non è verificare l'età degli ulivi di cui parliamo, ma cogliere i significati
non vegetali, diciamo così, e i comportamenti umani che rendono plausibile,
verosimile o vero quel che è narrato.
Viola dice che,
per gli ulivi della valle del Garga, il diametro del fusto cresce, all'inizio,
di un centimetro e mezzo all'anno; poi meno. Dopo un secolo, l'aumento si
riduce a pochi millimetri e verso i seicento-ottocento anni, a mezzo
millimetro. È allora che, al massimo del suo diametro, l'ulivo comincia a
dividersi: il tronco, spesso ormai vuoto, in corrispondenza di ferite, nodi,
potature, attacco di parassiti, si assottiglia, rinsecchisce, muore e si crepa
verticalmente. Questo può avvenire in più punti o più volte, nel tempo, sino a
frammentare il tronco in tre, quattro, cinque parti.
Ognuna delle
quali comincia, verso i mille anni, una vita propria, perché, in corrispondenza
delle fratture, dove il tronco muore, si estinguono pure le radici. La ceppaia
si divide e ogni "pianta derivata" si porta via, in dote, la sua
parte di fondamenta. Questo innesca il meccanismo che fa "camminare"
gli ulivi: la parte interna dei "nuovi" alberi è ormai legno morto e
radici estinte; solo sul lato esterno possono crescere radici per generare e
alimentare corteccia giovane; ma più si sviluppa la faccia verde, più si
estingue quella interna. «Una pianta derivata da scissione» scrive Viola «è
perciò caratterizzata da un lato che vive e un lato che muore.» Dal quale i
contadini usano asportare il legno ormai buono solo per il focolare. L'uomo, in
tal modo, collabora all'opera della natura. «E, con la potatura, determina e
contiene la forma degli ulivi nel tempo» spiega Pofi. «Quando il tronco con i
secoli si caria e il legno interno si degrada, è sempre l'uomo che con il suo
intervento ne determina la frammentazione, salvaguardando le parti sane.»
«Ne risulta,
così,» conclude Viola «una pianta che "cammina", andando alla deriva
nella direzione della parte verde del tronco.» I nuovi ceppi procedono nel
verso da cui gli arriva il sole; prendono le distanze dalla loro vecchiaia e inseguono
la loro gioventù: non si può dire che siano estranei al fusto da cui nacquero,
perché sono parti di quello; ma non si può dire che siano ancora quello, diviso
in più pezzi, perché ognuno ha ormai radici, sviluppo e percorso propri.
…gli ulivi
"camminano" anche gettando polloni dalla base del tronco, o dalle
radici distanti dal tronco, pure uno-due metri, a volte
Gli ulivi sorti
da scissione si muovono come i popoli del Mediterraneo: derivano, conservando,
quale punto di riferimento comune, la memoria di un'origine, il tronco che non
c'è più.
L'ulivo è
pianta domestica: può vivere così a lungo, svilupparsi, dividersi, derivare,
rinascere da un pollone e ricominciare, solo se, per tutto il tempo, l'uomo la
cura; se pota i rami bastardi e alleggerisce la pianta; le tiene, zappando,
sgombro il terreno intorno da essenze infestanti e più aggressive (molte); la
libera dal legno morto. Quando ciò non avviene, l'ulivo inselvatichisce, decade
e diviene sterile in pochi anni, quasi sempre soffocato dall'avanzata della
quercia, che gli toglie terra e sole.
Pensate per un
attimo cosa vorrebbe dire se, come Leone Viola ha cercato di dimostrare,
davvero furono esuli troiani a piantare quegli alberi: in fuga dalla
distruzione del loro mondo, si portarono appresso i codici e gli dei, per
cementare il patto fra di loro; e piante di ulivo, per stringerne uno con la
nuova terra …... Il patto era: io ti darò olive per accompagnare il pane, olio
per la cucina e la lucerna, legna per il focolare; tu mi darai acqua se piove
poco, farai respirare con la zappa le mie radici, toglierai il legno sterile
dalle mie spalle.
Ora, siano
tremila anni o meno, centoventi-centocin-quanta generazioni o poche decine ….,
qualcuno ha sempre potato quegli ulivi, zappato sulle radici, asportato il
legno morto. Cambiavano dèi, popoli, lingue, città "derivate"
sostituivano le antiche, ma quel patto di reciproca assistenza non conosceva
interruzione. Non tutti hanno avuto cura del proprio padre, qualcuno l'ha
lasciato morire da solo, e la statistica sui parricidi ci dice che, in tanti
secoli, c'è stato chi ha ucciso il suo. Ma persino chi non accudì il padre
continuò a farlo con gli ulivi.
La prova è che
gli alberi sono ancora lì. Altrimenti sarebbero inselvatichiti, decaduti,
morti.
da "TERRONI" di Pino Aprile - Capitolo VI
I Patriarchi affondano le loro radici nel mito. Sono il
frutto magnifico e imperituro della generosità di Atena, dea della saggezza,
che regalò l’ulivo all’uomo.
L’uomo ricambiò la generosità della dea chiamando Atene
l’allora capitale dell’Attica, regione della Grecia. Sin dalla notte dei tempi
i Patriarchi non hanno mai fatto mancare la loro ombra ad una umanità che mille e mille volte è morta e rinata su
sé stessa, sulla vita, sulle lacrime, sul sangue e sui sorrisi dell’uomo.
Spettatori meravigliosi di ciò che era uomo, di ciò che
siamo, di ciò che forse diventeremo o che magari non diventeremo mai…
Esempio poetico e stupendo di valori che si rigenerano su
loro stessi, perennemente. Valori il cui senso pieno è sempre lì e non dovrebbe
diventare mai polvere pronta ed essere dispersa dal vento. L’uomo nuovo, figlio
prediletto e anelato di una rivoluzione ormai
quasi secolare purtroppo non è arrivato.
Il senso di quei valori è andato perduto. Non abbiamo saputo
collaborare con la natura, non abbiamo saputo eliminare, come si fa con il
tronco dei Patriarchi, quelle parti che inficiano una fisiologica, essenziale,
vitale rigenerazione.
I figli forti e bellissimi dei Patriarchi non sono cresciuti
lì, nelle vicinanze, ma si sono ritratti, camminano altrove, paiono scostare,
con disgusto misto a terrore il nostro degrado morale. I Patriarchi ci hanno
abbandonato.
W.B. Yeats avrebbe detto: “Non si possono più pensare le
cose cui troppo a lungo si è pensato, chè la bellezza muore di bellezza, il
merito di merito. E le antiche fattezze si cancellano….Noi spettatori ridiamo
di tragica gioia”
Non lo abbiamo capito. Se così fosse stato forse i
Patriarchi non proverebbero orrore e disgusto per quello che siamo. Magari ci
parlerebbero di nuovo, forti di quei valori dei quali sono depositari, usando
ad esempio la voce di Nelly Sachs per dirci: “Voi che amate, voi che
anelate, udite, voi, malati di commiato, siamo noi, che cominciamo a vivere nei
vostri sguardi, nelle vostre mani che vanno in cerca nella luce azzurra, siamo noi,
che odoriamo di domani”.
Il forum "Cultura" di Sinistra Ecologia Libertà - Circolo "Peppino Impastato" Ceglie Messapica
complimenti per il quadro, per la scelta del brano e per il commento. Bravi Ragazzi!
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