Il voto, ogni singolo voto, è
l’arma pacifica della nostra democrazia.
Per quanto si tenti sempre più di
snaturarlo come merce che si vende e si compra, il voto non ha altro prezzo che non sia la dignità di chi lo
esercita in maniera libera e responsabile.
Solo così diventa l’arma di cui ogni singolo cittadino pacificamente
dispone per scardinare l’andamento delle cose, aprendo le porte al cambiamento.
È il cambiamento il nostro
orizzonte, con il voto e dopo il voto.
Perché è il cambiamento ad
essere, qui ed ora, la partita veramente “utile”, necessaria, che ci mette in
gioco. È da troppo tempo – un tempo opaco e triste – che sentiamo le parole
della rassegnazione: quelle che ci dicono che la politica non può fare nulla se
non sancire la propria impotenza.
Il disco incantato ripete il
ritornello: ”ce lo impone la crisi, ce lo dice l’Europa”. Parole usate per
sterilizzare la speranza e per addestrarci a convivere fatalisticamente con le
nostre paure e le nostre solitudini.
Diciamo la verità: la crisi non
ha prodotto soltanto diseguaglianze, povertà, immiserimento, mettendo ben al
riparo le tante ricchezze di pochi. La
crisi ha frantumato il senso alla parola “futuro” e ha riempito di paura e di solitudine il
nostro presente: questo è il senso più profondo della nostra sconfitta.
Della sconfitta del mondo del
lavoro, cui è stato tolto dignità e valore. Della sconfitta culturale e
politica del diritto ad avere diritti, di governare se stessi, il proprio
corpo, il proprio orientamento sessuale, di poter scogliere i nodi complessi e
delicati che riguardano la nascita e la morte.
Ci è stato tolto il bene
infinitamente prezioso del tempo. Il tempo delle nostre esistenze che cercano
il loro compimento nella bellezza di un ambiente rispettato, nella cura di
relazioni umane solidali, nella ricerca di un sapere critico capace di nutrirci
con la memoria e la conoscenza.
Non sono state né le immutabili leggi di natura né la presunta oggettività
ed inevitabilità delle cose a tentare di spingerci nell’angolo dell’impotenza.
È stata prima di tutto una certa politica fin qui complice di una finanza
predona e malata della propria onnipotenza.
È una politica che ha nomi e cognomi,
ha partiti e giornali, ha banche e
televisioni. Noi, che sembriamo i soli a farlo in Italia ma abbiamo buoni
compagni in Europa, la chiamiamo col suo nome vero: è la destra. Innanzitutto la
destra liberista e populista che, con Silvio Berlusconi, ha segnato in
profondità 20 anni di storia italiana producendo un significativo regresso sociale e civile del nostro paese.
Ma è anche la destra perbene e dell’elite tecnocratiche che invocano il dominio
della tecnica come surrogato della politica e della democrazia. La destra, ha
prima generato la crisi, poi è risultata incapace a contenerla e ora si candida
nuovamente a governare le nostre vite intristite, rubandocele una seconda
volta. Ma l’inganno si è spezzato.
Di fronte alla crisi e alle cattive
ricette anti crisi noi, la sinistra, vogliamo mettere da parte l’emergenza
infinita per aprire porte e finestre al cambiamento possibile, in Italia come
in Europa.
Questa sfida vogliamo vincerla
chiedendo un voto che abbia la forza di smontare l’inganno che giunge sino al
punto di negare, di fronte alla crisi, l’esistenza stessa di una destra e di
una sinistra. È un tentativo che pare ormai avere interpreti maldestri soltanto
in Italia, se è vero che persino il Fondo Monetario sta tornando sulle
strategie sin qui adottate per contrastare la crisi mettendo in chiaro gli
errori compiuti dai neo-liberisti. Non si può imboccare la strada del
risanamento e di una nuova crescita economica eco compatibile reiterando quelle
politiche di rigore a senso unico e di austerità che hanno soffocato ogni
sviluppo, accresciuto la disoccupazione anziché contrastarla, sbagliando tutti
i calcoli dei tagli alla spesa pubblica come salute e istruzione con effetti
depressivi sul ciclo economico.
La nostra sfida sta in quell’idea
di democrazia che richiede prima di tutto programmi “diversi” su come si
risponde ad una crisi epocale che tocca nel vivo testa e cuore delle persone,
su come si governa un grande e disorientato paese come l’Italia, su come si sta
in un’Europa che deve ritrovare la propria missione al di fuori dei soli
precetti finanziari.
Non esistono, se non nella retorica inconcludente di una concordia
nazionale, “agende” che si pongono da sé
medesime al centro di un governo immobile, che si sottraggono ad un confronto vero con le idee ad esse alternative,
pronte a scommettere sull’ingovernabilità del paese e sul “tagliar le ali” per
affermare di esistere. È la tecnica consumata di una vecchia e stanca politica,
dentro cui non soffia alcun vento fresco di cambiamento.
Quello che abbiamo da dire con il
nostro programma, sulla centralità del lavoro e sulla conversione che abbia al
centro la green economy, sul welfare europeo e sullo Stato di diritto, su quei
beni comuni sottratti alla privatizzazione e restituiti alla cittadinanza,
sugli Stati Uniti d’Europa che aprono finalmente il capitolo della lotta alla
povertà e alla disuguaglianza, sull’affermazione di una nuova democrazia
paritaria e di genere, tutto questo ha a che fare con una sinistra capace di
misurarsi con il governo adesso, proprio nel punto più aspro e duro della crisi
che ci investe.
Per questo chiediamo un voto a
Sinistra Ecologia Libertà. Per mettere in campo la nostra idea di democrazia e
libertà, scolpendo con forza come prima parola del nostro programma di governo,
la stessa che apre la Carta dei diritti fondamentali dell’Europa. La parola “dignità”.
Benvenuta sinistra
Nichi Vendola